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4 Minuti
| 17/11/2025 |
Dott.ssa Claudia Brattini
Salute e Benessere

Roberta Bruzzone: capire, riconoscere e combattere la violenza sulle donne – l’intervista esclusiva per Benu

Roberta Bruzzone: capire, riconoscere e combattere la violenza sulle donne – l’intervista esclusiva per Benu
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In un contesto in cui la violenza di genere continua purtroppo a rappresentare un’emergenza sociale e culturale, abbiamo intervistato l’esperta criminologa Roberta Bruzzone per capire cosa realmente non funzioni nella prevenzione, nell’accoglienza e nella denuncia di queste violenze.Il dialogo illuminate tocca diversi temi, dalla difficoltà di riconoscere l’abuso a livello psicologico, al peso degli stereotipi di genere, fino ai segnali che dobbiamo insegnare alle nuove generazioni.

BIOGRAFIA DI ROBERTA BRUZZONE

Roberta Bruzzone nasce il 1° luglio 1973 a Finale Ligure (Savona). È criminologa, psicologa forense e divulgatrice. Si laurea in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Torino e si specializza in Psicopatologia Forense all’Università di Genova. Nel corso della sua carriera si occupa di casi di cronaca nera, è autrice di numerosi libri, docente e presenza costante nella divulgazione scientifica in ambito criminologico.

Negli ultimi anni si è parlato spesso del protocollo "Mascherina 1522", attraverso il quale, anche in farmacia è possibile chiedere aiuto in modo discreto. In molti casi, il farmacista diventa una figura di fiducia per la comunità e un punto di contatto per le vittime. Quando c’è una situazione di emergenza che approccio dovrebbero tenere i farmacisti o quanti si accorgono del problema?

"Quando c’è una situazione di questo tipo bisogna immediatamente mettere la persona che chiede aiuto in una posizione di comfort e in un luogo isolato, che le permetta di sentirsi al sicuro e da sola dove poi fare ricorso alle forze di polizia. Sarebbe opportuno utilizzare un'area per accogliere la vittima, costruendo ua sorta di via di fuga, un esacamotage per allontare rapidamente la vittima dal soggetto in questione perchè se arrivano ad esempio in farmacia è perchè vogliono chiedere aiuto ma non hanno la possibilità di sottrarsi al proprio aguzzino."

Cosa continua a non funzionare nella gestione dell’emergenza legata alla violenza sulle donne?

"Quello che continua a non funzionare purtroppo riguarda molto la gestione giudiziaria di questa emergenza. Il problema enorme che abbiamo è di tipo educativo e valoriale, legato ai modelli e agli stereotipi di genere. Siamo immersi in una cultura di chiara matrice patriarcale, in cui la vita delle donne viene ancora considerata di minor valore rispetto a quella degli uomini. Molti uomini e molte donne sono convinti che, in una relazione, la donna debba in qualche modo soccombere, essere una figura subalterna. Molte donne credono che “stare con qualcuno” significhi “essere qualcuno”. Molti uomini pensano che, una volta instaurata una relazione, quella donna appartenga a loro e che spetti a loro avere l’ultima parola su autonomia, scelte e vita della partner."

Perché, secondo lei, molte donne fanno ancora fatica a denunciare?

" Molte donne non denunciano perché in certi casi non si rendono conto che quello che vivono è una condizione di abuso, soprattutto quando la violenza è psicologica o verbale. Ritengono che le condotte di umiliazione, svalutazione e vessazione siano, tutto sommato, “accettabili”, senza capire di stare subendo un reato. Quando poi la violenza diventa fisica, non denunciano per una serie di problematiche anche psicologiche: pensano che quello sia comunque il padre dei loro figli, temono che la denuncia comporti la fine definitiva della relazione, o vivono in una dinamica che le porta a sperare ogni volta che la situazione possa cambiare. C’è poi l’aspetto economico, che è una variabile molto significativa: molte donne vittime di violenza non lavorano e dipendono totalmente dal partner. Temono di non poter mantenere se stesse e i figli. E infine c’è la sfiducia nella risposta dell’autorità giudiziaria."

Il controllo è sempre un segnale negativo

Quali segnali dovremmo insegnare a riconoscere nelle nuove generazioni?

"Il principale campanello d’allarme è il controllo. Oggi si tende ancora a trasmettere il messaggio che “se un uomo è geloso e ti controlla, significa che ci tiene”. Dovremmo smetterla di promuovere questa idea. La gelosia non è amore. Il controllo non è cura. È da queste dinamiche che spesso inizia la spirale della violenza."

A questo proposito, il messaggio chiave che possiamo lanciare alle nuove generazioni è sul concetto del controllo?

"Certamente, ancora oggi molte giovanissime donne sono convinte che se il proprio compagno le controlla è perchè le ama, in realtà quello è il segnale di una personalità disturbata che non potrà dare vita ad una relazione sana. La chiave è far capire alle ragazze e ai ragazzi che controllare una relazione è un segnale negativo e che dovrebbe far vautare davvero con attenzione se continuare o meno la relazione."

I media svolgono un ruolo rilevante nella violenza di genere, cosa ne pensa?

"Ho notato timidi segnali di migliormento in questi anni ma ancora oggi si tende a privilegiare la narrazione in cui l'uomo uccide perchè la donna si è sottratta al suo controllo, lo ha abbandonato, lo ha lasciato per una nuova relazione. Bisognerebbe smettere di mettere in relazione la fine della relazione, che è una legittima scelta, con la violenza. Lo scenario della donna che se va e l'uomo che viene "abbandonato" è un racconto che va depotenziato."

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Dott.ssa Claudia Brattini

(551 articoli)
All'esperienza di Farmacista ha affiancato quella della divulgazione scientifica nell'ambito della salute, approfondendo tematiche legate alla specializzazione in nutrizione e chimica degli alimenti. E' Giornalista e ha svolto un master di Comunicazione della Salute & Digital Marketing Sanitario, Giornalismo e Data Journalism.
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